Ecco il suono della lingua proto-indoeuropea, la madre di tutte le lingue del mondo

Con l’espressione ‘lingue indoeuropee’ ci si riferisce alla famiglia di lingue parlate oggi in gran parte del globo. A partire dal 19° secolo, i linguisti hanno compreso che tutte le moderne lingue indoeuropee discendono da un’unica protolingua, il “proto-indoeuropeo”. Ed oggi, meraviglia delle meraviglie, è stato possibile ricostruire il suono della madre di tutte le lingue.
Il proto-indoeuropeo è stato parlato da un popolo vissuto tra il 5000 e il 2500 a.C., senza però lasciare testi scritti.
Attraverso la linguistica comparativa, si sono ravvisate le fortissime somiglianze fra queste lingue, imponendo i ricercatori ad assumere che esse siano la continuazione di una protolingua preistorica parlata circa settemila anni fa.
Quando i linguisti hanno compreso l’origine comune di quasi tutte le lingue del globo, la sfida è stata quella di ricostruire la possibile fonetica. Nel 1868, l’opera del linguista tedesco August Schleicher ha rappresentato una delle pietre miliari della linguistica indoeuropea.

Fu il primo a proporre il modello ad albero genealogico che individuava ed esemplificava le parentele fra lingue e gruppi linguistici e la loro appartenenza ad una determinata famiglia.
Grazie ai suoi studi, Schleicher riuscì a ricostruire il vocabolario della protolingua, consentendogli di comporre una favola nell’antica lingua.
Nota come “La pecora e i cavalli”, ma conosciuta oggi come la “Favola di Schleicher”, la breve parabola racconta la storia di una pecora tosata che incontra un gruppo di cavalli decisamente scortesi. La favola risultava essere trascritta così:

Avis, jasmin varnā na ā ast, dadarka akvams, tam, vāgham garum vaghantam, tam, bhāram magham, tam, manum āku bharantam. Avis akvabhjams ā vavakat: kard aghnutai mai vidanti manum akvams agantam.
Akvāsas ā vavakant: krudhi avai, kard aghnutai vividvant-svas: manus patis varnām avisāms karnauti svabhjam gharmam vastram avibhjams ka varnā na asti. Tat kukruvants avis agram ā bhugat.

Ed ecco la traduzione in italiano:

Una pecora tosata vide dei cavalli, uno dei quali tirava un pesante carro, un altro portava un grande carico e un altro trasportava un uomo. La pecora disse ai cavalli: “Mi piange il cuore vedendo come l’uomo tratta i cavalli”.
I cavalli le dissero: “Ascolta, pecora: per noi è penoso vedere che l’uomo, nostro signore, si fa un vestito con la lana delle pecore, mentre le pecore restano senza lana”. Dopo aver sentito ciò, la pecora se ne fuggì nei campi.

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La favola di Schleicher è stata la base per successivi progressi nello studio del proto-indoeuropeo, permettendo alle generazioni successive di linguisti di progredire nella ricostruzione del fonema.
Tuttavia, essendovi un notevole disaccordo tra gli studiosi, nessuna versione della favola può essere ancora considerata definitiva.
L’ultimo aggiornamento è stato introdotto dal linguista Andrew Byrd, dell’Università del Kentucky, il quale, basandosi sugli studi di H. Craig Melchert, ha recitato la versione della favola con la pronuncia venuta fuori dalle sue intuizioni.

Uno degli aspetti più affascinanti dello studio del proto-indoeuropeo riguarda le ipotesi sulla cultura e sul modo di vivere di chi parlava questa lingua antica. Sebbene non vi siano testimonianze scritte, i linguisti hanno ricostruito alcune parole chiave legate alla vita quotidiana, all’ambiente e alle credenze di questo popolo preistorico. Ad esempio, si pensa che i parlanti del proto-indoeuropeo fossero popolazioni nomadi o seminomadi, che praticavano la pastorizia e l’agricoltura. Molte delle parole ricostruite riguardano animali domestici, strumenti agricoli e fenomeni naturali, suggerendo che queste comunità dipendessero fortemente dalla terra e dal bestiame. Anche la religione potrebbe aver avuto un ruolo fondamentale: alcuni termini sembrano indicare divinità legate al cielo e agli elementi, come il sole, la pioggia e il fuoco. Il termine ricostruito dyeus (che ha dato origine a parole come “Zeus” in greco e “Deus” in latino) è stato associato a un’antica divinità del cielo, mostrando come alcuni concetti religiosi abbiano resistito nel tempo e siano giunti fino a noi attraverso le lingue moderne.

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